Bologna, Magritte, Dalì e Duchamp in mostra a Palazzo Albergati dal 17 ottobre

L'esposizione sui 'Rivoluzionari del ’900' organizzata da Arthemisia con l’Israel Museum di Gerusalemme

‘Surrealist Essay’ di Dalì

‘Surrealist Essay’ di Dalì

Bologna, 4 agosto 2017 - Chi ha mai detto che l’arte è rassicurante. Quella vera, anche quando si copre di armonia e proporzioni, non lo è quasi mai. E l’idea dell’arte come mezzo perturbante per parlare del mondo è tanto più vera quando si spalanca l’abisso del Novecento, e tutte le proporzioni saltano. Così cosa succede quando si mettono vicino Duchamp, Magritte, Max Ernst, Man Ray, Dalì, Picabia e Tanguy, e via via in un ruzzolare un po’ stordente, fino a Pollock? Di fatto, si concentra in una volta sola tutta l’energia eversiva dell’arte della prima metà del Novecento: dadaismo, espressionismo, surrealismo, post impressionismo e action painting. C’è proprio tutto. I pilastri che hanno rovesciato l’immaginario artistico del grande secolo (basta pensare all’orinatoio di Duchamp, o al suo portaombrelli) e contemporaneamente hanno aperto le finestre sugli altri mondi.

Questo ‘salto mortale’ dell’immaginazione sarà raccontato a Palazzo Albergati il prossimo ottobre (dal 17) con la mostra Duchamp, Magritte, Dalì. I rivoluzionari del ’900 prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con l’Israel Museum di Gerusalemme, curatori Adina Kamien-Kazhdan e David Rockefeller.

Esposizione decisamente di peso, con oltre duecento opere la maggior parte delle quali hanno varcato da tempo i confini dell’arte per diventare – inevitabilmente – icone: da Le Chateau de Pyrenees di Magritte a Surrealist Essay di Dalì, toccando la celeberrima Gioconda L.H.O.O.Q. di Duchamp (quella con i baffi, per intenderci). Icone, di certo. Parola magica a indicare qualcosa diventato così noto (stra-noto?) da essersi insinuato nell’immaginario collettivo. Come le magliette con la faccia di Che Guevara, insomma, portate ‘a prescindere’.

E, volendo, come la Gioconda coi baffi. Che poi lo spettatore non sappia che Duchamp l’ha fatta nel 1919 con un doppio sberleffo e un altrettanto doppio ready made (è una foto, quindi una riproduzione, che viene ulteriormente manipolata) poco importa. Se te la portano vicino a casa, vai a vederla. Quello che ci sta dietro, la ‘bomba’ piazzata sotto l’idea stessa di arte, casomai viene dopo.

C'è da dire che in autunno non mancheranno le occasioni di confrontarsi con opere importanti. Se Palazzo Albergati – dopo Frida Kahlo e Mirò scommette di nuovo sulle ‘icone’ del Novecento, a Palazzo Fava infatti – sede epositiva di Genus Bononiae – dopo Astrid Kirchherr with the Beatles (che chiude il 9 ottobre) si guarda all’altra faccia del mondo con México-La Mostra Sospesa. Orozco, Rivera, Siqueiros (dal 19 ottobre). Straordinaria occasione per vedere le opere dei grandi muralisti messicani, figli della rivoluzione e di un sogno dell’arte per il popolo, pensate per una mostra mai fatta, imballate in fretta e nascoste all’alba del golpe di Pinochet.

In città nello stesso periodo, le due esposizioni raccontano due modi diversi di guardare il mondo – reale-surreale – e di raccontarlo, consegnandocelo comunque in forme nuove.

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